Il fantasma di Beatrice Cenci aleggia su Castel Sant’Angelo

A Roma la storia affianca i turisti e i viaggiatori, durante i loro tour; anzi li pervade. Diventano essi stessi parte di un presente eterno, che non perde mai colore. Anzi, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo, acquista luce e vigore. Come accade alle storie sui fantasmi di Roma.

Il più famoso degli spiriti è forse il fantasma di Ponte Sant’Angelo, che aleggia sul Tevere e sulla città da oltre quattro secoli, senza trovare pace. Di lei hanno scritto grandi romanzieri come Stendhal; la sua vicenda ha ispirato grandi pittori, come Guido Reni, al quale è intitolata la via che porta al MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo).

Si dice che il fantasma di Beatrice Cenci percorra ogni anno, nella notte tra il 10 e l’11 settembre, il ponte che porta a Castel Sant’Angelo, con la sua testa in mano. Un conto è la storia, un altro la tradizione locale. La storia ci consegna la figura di una giovane donna giustiziata per aver ucciso il padre. I suoi resti furono dispersi durante l’occupazione francese e non ci fu verso di recuperarli.

Ma procediamo con ordine: Beatrice era una giovane nobildonna romana, ma non per questo fortunata come altre sue coetanee dell’epoca tardo rinascimentale. Il padre era una persona autoritaria, con un pessimo carattere (secondo la ricostruzione storica). Francesco Cenci credeva, come molti uomini del tempo, che le donne fossero oggetti dei quali disporre come meglio si poteva, tanto più se si trattava di una figlia.

Un giorno Beatrice Cenci decise di denunciare il padre e le violenze sessuali che subiva. Anche il resto della famiglia non riusciva più a sopportare un uomo che, stando alle cronache, era irascibile e violento. Un padre-padrone, per usare un’espressione molto familiare. L’omicidio di Francesco Cenci fu letteralmente organizzato da Beatrice e dagli altri membri della famiglia, con la complicità del castellano e del maniscalco.

Il corpo fu lanciato da una balaustra, nella speranza di far passare per incidente l’assassinio. Le ferite riportate dall’uomo rivelarono che le cose erano andate diversamente. Dopo diversi giorni, le confessioni piene dei colpevoli, ottenute anche con lo strumento della tortura, portarono alla loro condanna a morte. Anche Beatrice, naturalmente, fu condannata alla massima pena. Ma in seguito divenne una sorta di simbolo.

È questa un’altra delle vicende (infinite) che avvolgono Castel Sant’Angelo. Affascinante e inquietante come quella di Cagliostro (abbiamo raccontato la sua storia in precedenza), la figura di Beatrice è entrata nella storia di Roma, nell’immaginario di chi giura di vederla, ogni anno, attraversare senza pace il ponte, avanti e indietro. Beatrice è diventata un’eroina, come è accaduto secoli dopo a Violette Nozière (ma quella è un’altra storia).

Nel Cinquecento denunciare il proprio padre era un gesto rivoluzionario, che sfidava la società. Molte donne considerano Beatrice Cenci una femminista ante-litteram. La sua vicenda drammatica continua ancora oggi a ispirare storie, anche per immagini. E molti dei turisti che giungono a Castel Sant’Angelo immaginano quella figura femminile agitarsi, con la testa recisa tra le mani, sul Ponte che conduce al Castello.

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